15/10/2025
Dopo aver ingerito 22 kg di plastica, risulta parecchio difficile portare a termine una gravidanza.
Ma a te poco importa e continui a nuotare, con quel peso nello stomaco e con un cucciolo nell'utero.
C'è un capodoglio che sta per raggiungere le coste della Sardegna; trasporta rifiuti e un feto di 2,50 m; marcio, decomposto.
Il suo ventre è un contenitore di morte, il suo intero corpo è un treno che viaggia su binari di microplastiche: racchiude miseria e pezzetti di umanità monouso, incrostati di sugo e sangue.
La speranza di diventare madre è stata schiacciata e compressa da tonnellate di rifiuti di plastica, dai sacchetti della spazzatura ai flaconi di detersivo, dalle reti alle lenze da pesca, dai piatti ai tubi corrugati per impianti elettrici: lerciume umano.
C'è un capodoglio senza vita arenato su una spiaggia, vicino a Porto Cervo.
Si tratta di una femmina, lunga circa otto metri, gravida, probabilmente morta anche a causa di una grave ostruzione gastrica.
Frequentava il Canyon di Caprera, un crepaccio profondo situato sotto le acque del Mediterraneo, pieno di rifiuti galleggianti che assomigliano a calamari.
Lì i capodogli mangiano, partoriscono e si trasformano in discariche viventi.
E mentre le vittime antropogeniche si decompongono al sole, saturando l'aria di gas e di fluidi dall'odore dolciastro,
la plastica continua a sbriciolarsi, a rilasciare frammenti di piccole o medie dimensioni.
Quelle pallide carcasse di origine antropica sono vascelli in miniatura che trasportano inquinanti organici persistenti e specie aliene.
La plastica fornisce un substrato ideale per la proliferazione di organismi sessili e microrganismi; la plastica adsorbe e concentra metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, PCB e DDE.
Può depositarsi su colonie di coralli e vegetali, interferendo con la penetrazione della luce e con i processi fotosintetici.
La plastica strozza e intrappola gli animali, ostacola i loro movimenti e le attività di predazione e riproduzione.
In un punto inaccessibile della Cornovaglia, lungo la costa bagnata dal Mar Celtico, c'è una foca grigia che è stata quasi decapitata da una massa di rifiuti e reti fantasma: 35 kg di spazzatura attorcigliata intorno al collo di un pinnipede.
A Fort Myers Beach, in Florida, c'è un delfino morto che ha un tubo della doccia di 60 cm incastrato nell’esofago.
A Buenos Aires, una tartaruga verde sta defecando filamenti di plastica; al largo del Costa Rica, su una piccola imbarcazione, un biologo marino sta cercando di rimuovere una cannuccia dalla narice di un'altra tartaruga marina.
C'è un giovane zifio che vomita un grumo di sangue dopo aver accumulato 40 kg di spazzatura; in Indonesia, 115 bicchieri, due infradito e 25 sacchetti di plastica arredano il sistema digerente di un altro capodoglio.
Lo stomaco di un animale marino è un mercatino dell'usato, un negozio di cianfrusaglie in cui è possibile trovare diversi oggetti di uso quotidiano, soprattutto in plastica monouso: bicchieri, bottiglie, buste, piatti, tubi, detersivi.
Quando arriva la bassa marea, in questo oceano di polimeri sintetici, il mare si ritira, «lasciando la spiaggia umida e scivolosa, coperta di alghe, lattine arrugginite, profilattici marciti, bottiglie, boe fracassate»* e carcasse di cetacei, tartarughe e pinnipedi che spurgano lordura umana.
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Ogni anno almeno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani del mondo e, ad oggi, si stima che vi siano più di 150 milioni di tonnellate di plastica nei mari, generando un significativo accumulo di rifiuti anche nell’ambiente marino.
A causa dei lenti tassi di degradazione negli oceani, la plastica può persistere per anni, decenni o addirittura svariate centinaia di anni.
La plastica si frammenta in pezzi piccolissimi attraverso l’azione meccanica del moto ondoso, dell’impatto con le rocce e/o attraverso la fotolisi.
Una bottiglia d’acqua può impiegare fino a 450 anni per degradarsi completamente, una bustina della spesa circa 10-20 anni; reti e lenze da pesca fino a circa 1000 anni.
Il risultato è che l’inquinamento da plastica negli oceani è oggi presente quasi ovunque, rappresentando così un problema di portata globale.
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* La lunga marcia; S. King.
Riferimenti:
[1] Haram, L.E., Carlton, J.T., Centurioni, L. et al. Emergence of a neopelagic community through the establishment of coastal species on the high seas. Nat Commun 12, 6885 (2021).
[2] Biologia marina (Terza edizione), R. Danovaro.