15/07/2025
*Riflessioni di questi giorni* (aperte al dibattito se volete):
Sapendo quanto ci piacciono i cani da lavoro, qualcuno ci ha chiesto se questa new entry nel team fosse WORKING o meno.
Prima di tutto, direi di chiarire cos’è davvero un “cane da lavoro”. Le razze da lavoro sono quelle che hanno prove ufficiali per certificare che un soggetto possiede le qualità tipiche di razza. In “cinoflese” invece si intende un cane selezionato solo per la performance — nel nostro caso, per come si comporta sul terreno di caccia (e uso “solo” con cognizione di causa).
Non entro nel merito delle scelte di allevamento — ognuno ha i suoi metodi — ma è un dato di fatto: da inizio Novecento, incrociare FTCH x FTCH ha prodotto quelli che tutti conosciamo come Working X o Working Y. Un metodo forse un po’ brutale, ma tremendamente efficace se l’unico obiettivo è ottenere cani che sappiano fare, al meglio, ciò per cui la razza è nata.
Il punto è che se iniziamo a selezionare per lo stop, la linea del dorso, la lunghezza del rene, l’espressione, la coda, il collo, le orecchie (e pure per il colore (!!)), allora usciamo dalla logica del vero cane da lavoro.
Esiste però una terza via — e non parlo dei tanto discussi “dual purpose” — ma di semplice, concreta funzionalità. E qui viene a galla una questione vecchia come le prime prove di lavoro: servono davvero, queste prove, a selezionare soggetti efficaci sul terreno di caccia? La domanda è rimasta aperta da quando si sono organizzate le prime competizioni e i gentlemen inglesi scrivevano articoli di fuoco sotto pseudonimo, perché non era elegante per un galantuomo parlare di cani da caccia in pubblico (vedi History of Retrievers di Charles C. Eley, 1921).
Pensiamo allora al nostro cane ideale, un cane che va davvero a caccia: che recuperi durante un picking up o che scovi qualche ora nel bosco. Un cane funzionale, non troppo veloce da diventare ingestibile, connesso, collaborativo, che torni a casa, si accoccoli sul divano e giochi coi figli. Insomma: un cane vero.
Ecco perché, per noi, la nostra springer Bancha è un piccolo miracolo toscano: metodica, sveglia, con un’intelligenza venatoria incredibile. Se guardo il suo pedigree sorrido: segue sì la logica del FTCH x FTCH, ma con i piedi per terra. Dietro c’è un gruppo di cacciatori appassionati che incrocia “il mio Billy con la tua Freccia”, semplicemente perché sono cani che sanno fare bene quello che devono fare. Punto.
Ed è questa voglia di cani veri che ci ha portati alla piccola Bluebeat.
Viene da una linea di springer “belli” anzi direi molto belli (e qui si potrebbe aprire un capitolo infinito su cosa significhi davvero bello in cinofilia), ma soprattutto sono soggetti che vanno a caccia per davvero.
Speriamo che mantenga tutte le qualità dei cani che ci piacciono, senza essere monodirezionale come certi spaniel — che abbiamo avuto, amato, ma che forse oggi non fanno più per noi.
Perché alla fine un cane working è felice se lavora, se fa davvero ciò per cui è stato selezionato. Senza troppe scuse di mancanza di tempo, location scomode o impossibilità varie e soprattutto, senza illudersi che bastino dei palliativi, perché chi acquista un cane working deve essere pronto a modificare un po il suo stile di vita e non l’opposto, del resto non sono cani per tutti, anche se la moda del momento punta in un’altra direzione.
MIKE