17/11/2025
L’ EQUIVOCO
Era tra l’una e mezza e le due del pomeriggio e spesso mi prendevo un caffè al bar di Bratto prima dell’ inizio dell’ambulatorio.
Di solito, quando ero in questi paraggi, avevo tre opzioni da scegliere: il bar Donizetti, il bar Millennio e il bar pasticceria Alex.
In quel pomeriggio assolato di gennaio scelsi di sedermi all’aperto ai tavolini del bar Alex. Siccome era una bella giornata e la gente in paese era poca, sia per l’ora sia perché gli sciatori si fermavano più a lungo sui campi da sci.
Quelli che non sciavano al passo della Presolana o al monte Pora si crogiolavano come delle lucertole al tiepido sole invernale per abbronzare la pelle.
Nella prima fila dei tavolini del solarium del bar c’era una elegante bella signora annoiata, seduta con la figlia di circa 6 anni che era vestita come lei.
Indossavano entrambe due completi da sci di color azzurro e due doposci pelosi bianchi. Diversamente rispetto alla figlia, la mamma aveva un paio di occhiali da sole di Gucci.
Il loro aspetto mi incuriosiva, non solo per i vestiti identici, ma anche per il fisico della bambina: aveva, infatti, una testa molto grossa rispetto alla sua esile figura.
Aspettate, non arrivate subito alle conclusioni …… non volevo dire che aveva una testa deforme, aveva semplicemente una testa più grande del normale!
L’insieme della coppia madre-figlia comunque strideva.
La mamma era molto curata, sia nell’abbigliamento che nel fisico: aveva una manicure perfetta, un taglio di capelli alla moda, un make up impeccabile e, probabilmente, aveva anche subìto qualche intervento chirurgico di ritocco estetico (forse di botulino o di acido ialuronico).
Secondo me, la dimensione della testa della figlia, che per altri poteva sembrava normale, per la donna sofisticata era diventata un enorme cruccio.
Osservai la bambina e vidi che stava cercando di allontanare un grosso g*tto che puntava ai pelosi doposci per farsi gli artigli.
Il felino, che probabilmente era il g*tto del gestore del bar, era molto insistente: si era fissato sulle scarpe pelose della bambina.
Da gentiluomo, mi avvicinai alle sedie di allumino della coppia, salutai e acciuffai il grosso g*tto per l’ ascelle. Presi l’animale peloso in braccio e mi accomodai sulla mia sedia alle spalle delle sciatrici.
Posai l’animale sulle gambe e feci una rapida visita veterinaria (che ci posso fare, lo faccio senza accorgermi!): gli abbassai le palpebre per vedere le mucose, aprii la bocca per controllare se non ci fossero delle afte ed abbassai le orecchie per vedere se c’erano gli acari.
“Bene …… sembra che stia bene!” pensai e cominciai ad accarezzargli il pelo per cercare di distogliere la sua attenzione dai doposci.
Mentre ero alle prese con il g*ttone, arrivò un uomo che conoscevo superficialmente: era stato un cliente del mio ambulatorio e che qualche volta mi salutava per strada.
Non era un cliente abituale, normalmente abitava a Milano, ma qualche volta mi aveva parlato dei suoi g*tti.
Si faceva notare per i vestiti originali e per il tono alto della sua voce che echeggiava nei paraggi quando arrivava ma era famoso soprattutto per la sua mania spropositata per tutto quello che riguardava i g*tti.
Una volta mi aveva tediato per due ore sulle varie problematiche dei suoi g*tti: le razze, il pelo, il cibo, l’intelligenza ecc..ecc...
Il pittoresco milanese, che nell’occasione era vestito come un tirolese con tanto di penna di gallo cedrone, mi stava osservando da lontano fino da quando avevo sollevato il g*tto da sotto la sedia della bambina e si avvicinò agli avventori del bar. Io lo vidi arrivare e pensai che avrebbe attaccato bottone e mi preparai al peggio. Invece, con mia sorpresa, il chiassoso uomo attaccò a conversare con la signora elegante, probabilmente perché pensava che il g*tto fosse di proprietà della bambina.
Ebbe così inizio una serie di equivoci sfortunati.
L’uomo iniziò a parlare del g*tto che era con me mentre l’elegante signora, che non sapeva nulla del felino, rispondeva all’interpellante riguardo alla figlia.
Ammiccò al g*tto che era alle spalle della bambina e chiese alla donna: “E’ un maschio?”
“No ……… è una femmina!” disse la signora con aria indignata.
Ascoltavo quel dialogo seduto al mio tavolino ed ebbi il presentimento dell’ equivoco: stava per accendersi la miccia di un candelotto di dinamite con una potenziale esplosione! Mi guardai attorno e cercai al può presto un’uscita di sicurezza.
Con mosse felpate (da felino appunto), mi alzai, appoggiai il g*tto sulla sedia e senza farmi scorgere, scivolai a zic-zac tra i tavolini in direzione della porta della pasticceria.
Il finto “schutzen” g*ttofilo, dopo la risposta avuta della donna fece una pausa e con aria perplessa riprese il discorso: “Strano, di solito quando hanno la testa grossa sono dei maschi!...” disse candidamente.
La bella signora sgranò gli occhi, impallidì e riavutasi dopo una manciata di secondi, scattò di colpo in piedi. La sedia cadde per terra con un fracasso metallico.
Con tutta la voce che aveva in gola gridò:
” Lei è un gran cafone!” e poi iniziò un rosario di altri insulti inenarrabili.
L’uomo dal cappello piumato si sbigottì per questa reazione, guardandosi attorno con occhi sbarrati.
Immediatamente la donna prese da parte la bambina, raccattò le sue cose e si allontanò dal terrazzo.
Il milanese si accorse per la prima volta della testa della bambina e capì l’equivoco suscitato. Provò a pronunciare delle scuse confuse: “ Il g*tto ……….. parlavo del g*tto! .. Chiedete al dottore ……. Dov’è il veterinario?!” diceva cercando di individuarmi tra i tavolini del locale.
Ma né il g*tto, che nel frattempo era scappato a gambe levate e nemmeno il veterinario non si vedevano in circolazione.
“ Dottore!?” chiamò un’altra volta con voce implorante.
Io, zitto zitto, ero entrato nel negozio di pasticceria e stavo aprendo la porta del lato della strada principale.
Incrociai un amico meccanico che stava leggendo “L’eco di Bergamo” e aveva visto la scena da lontano e mi sussurrò a bruciapelo: ” Sei un codardo!”.
“E’ vero……, e tu allora? Anche tu sei un omertoso! Aiutalo tu..” dissi a voce bassa per non farmi sentire il milanese.
L’amico puntualizzò: “Io ho sentito una invocazione precisa: veterinario, …… non meccanico!” sentenziò con soddisfazione, continuando a fingere di leggere il giornale e ridacchiando tra sè e sè.
Chiusi la porta senza far rumore, camminai a passo spedito fino alla banca e quando fui sicuro di essere al coperto dietro l’angolo, feci quattro lunghi balzi fino all’ambulatorio e chiusi la porta.
L’appassionato di g*tti, ferito nell’amor proprio, rincorse la signora fino al marciapiede cercando nuovamente di spiegarle l’equivoco e disse con tono accorato:” C’era un grosso g*tto, pensavo fosse della bambina, era………… un g*t ………..un….” ma la voce gli si strozzò in gola guardando le due femmine: la bambina aveva indossato un copricapo a forma di g*tto, con tanto di orecchie a triangolo.
La donna lo fulminò con lo sguardo.
Al povero g*ttofilo caddero le braccia per lo sconforto e si abbandonò afflosciato sul muretto.
(Da "STORIE DI UN VETERINARIO ALL'OMBRA DELLA PRESOLANA")