Centro cinofilo A-Team

Centro cinofilo A-Team Sono quasi ventiquattro anni che mi occupo di addestramento e di educazione di cani.

Qui i binomi vengono se ci sono dei problemi o per abilitarsi in diverse attività. Qui da me puoi studiare per diventare Educatore, istruttore o analista rieducatore

01/12/2025
STORIA DI UN ALTRO CANE EX MORSICATORE Kiran è un cocker adottato da poco da Tamara.Fin dai primi giorni ha mostrato un ...
26/11/2025

STORIA DI UN ALTRO CANE EX MORSICATORE

Kiran è un cocker adottato da poco da Tamara.
Fin dai primi giorni ha mostrato un profilo emotivo instabile: difficoltà nell’avvicinamento, rigidità posturale, evitamento marcato, possessività sugli oggetti e ringhi lanciati in ogni situazione in cui non riusciva a gestire la pressione.
Perfino una spazzolata diventava un problema.

Poi è arrivato il morso.
Un morso alle braccia di Tamara mentre cercava semplicemente di gestirlo. Non l’ha fatto per cattiveria. Non era aggressività gratuita.
La verità è che Kiran aveva imparato — per sopravvivenza psichica — a comunicare ringhiando e mordendo, perché non aveva altre strategie di modulazione emotiva.
Era il modo più corto per tenere lontano uno stimolo che non sapeva decodificare.

È molto probabile che sia stato ceduto proprio per questo.
Un cane che manifesta certe risposte viene spesso spostato da una casa all’altra finché qualcuno non decide di affrontare il problema davvero. E quando Tamara mi ha chiamato, aveva paura, si faceva domande, non sapeva dove fosse il limite tra ciò che poteva fare e ciò che rischiava di peggiorare.

Kiran è arrivato nel nostro centro come arrivano molti cani problematici: confuso, insicuro, disorganizzato nei comportamenti, impossibilitato a sostenere la vicinanza emotiva senza entrare in reazione.
E tuttavia è un cane mansueto, collaborativo, predisposto alla docilità.
Semplicemente non era stato letto.
Non era stato capito.

Fare questo mestiere non è facile.
Non è un lavoro di immagine e non è nemmeno un mestiere dove puoi permetterti leggerezza.
Chi rieduca davvero si trova costantemente davanti a soggetti che usano risposte anomale perché non hanno alternative, e ogni volta devi ridefinire i parametri: soglia, distanza, tempi, ritmo, pressione, direzionalità del corpo, stato emotivo del proprietario, capacità di autoregolazione del cane.
La complessità è quotidiana.

La parte che nessuno vede è che spesso ti ritrovi solo, chiuso in un campo o in un box, con un cane che soffre e che devi riportare dentro una relazione funzionale.
La parte tecnica è fatta di osservazione, sequenze, micro-segni, valutazione della latenza di risposta, modulazione della distanza critica, ricostruzione della fiducia attraverso la ripetizione controllata di micro-esperienze positive.
Ma la parte umana è ancora più pesante: devi reggere le aspettative di chi affida a te l’unica speranza che gli rimane.
E devi farlo senza illusioni, senza scorciatoie e senza mai tradire il cane.

Io continuo a farlo perché è un mestiere che richiede rigore lucidità e studio
Perché riportare un cane alla collaborazione non è un atto di cuore: è un lavoro tecnico di ristrutturazione emotiva, di gestione delle soglie, di riscrittura delle risposte comportamentali e di consolidamento di nuove memorie associative.
E quando queste memorie iniziano a funzionare, il cane cambia.
Non per magia.
Per metodo.

Il mio centro vive grazie ai collaboratori che lavorano con coscienza ed etica, grazie alle persone che mi scelgono e superano le incertezze iniziali, e soprattutto grazie al fatto che i miei principi — etologici, deontologici e morali — non vengono mai derogati.
Mai.

Oggi Kiran è quasi alla fine del suo percorso.
E ciò che sta emergendo è semplice e straordinario allo stesso tempo:
non pensa più a mordere.
Quel comportamento, che un tempo era la sua unica strategia di sopravvivenza, è scomparso dalla sua mappa mentale.
La soglia si è alzata, la reattività anticipatoria è crollata, la sua lettura della pressione è finalmente corretta.

Adesso non deve più difendersi.
Adesso sta recuperando il tempo perduto:
il tempo delle carezze mai vissute,
il tempo della relazione tranquilla,
il tempo della fiducia,
il tempo della collaborazione senza paura.

Kiran non è diventato un altro cane.
È diventato se stesso, finalmente libero dalla necessità di difendersi dal mondo.

Grazie per l’attenzione e alla prossima.

Luca Leonardo Caputo






13–14 DICEMBRE: ESPOSIZIONE CINOFILA APERTA A TUTTICON PATROCINIO KCE/IKUIl 13 e 14 dicembre vi aspettiamo per una manif...
26/11/2025

13–14 DICEMBRE: ESPOSIZIONE CINOFILA APERTA A TUTTI

CON PATROCINIO KCE/IKU

Il 13 e 14 dicembre vi aspettiamo per una manifestazione cinofila patrocinata ufficialmente dal circuito KCE/IKU, pensata per tutti i proprietari di cani di razza, in un’atmosfera accessibile, familiare e tecnicamente formativa.

Il nostro obiettivo non è contrapporci all’ENCI, ma avvicinare il pubblico al mondo dell’esposizione in modo pratico, comprensibile e coinvolgente.
Vogliamo mostrare quanto questa disciplina – se ben guidata – rappresenti una forma preziosa di educazione, addestramento e collaborazione.

Possono partecipare:
• tutti i cani di razza con pedigree,
• i cani di razza senza pedigree, previo riconoscimento di razza certificato dall’ente, riconoscimento che potrà essere svolto direttamente all’interno della manifestazione.

Durante queste due giornate avrete l’opportunità di:
• confrontarvi con handler con oltre trent’anni di esperienza,
• assistere agli interventi di veterinari e professionisti del settore,
• imparare come preparare e presentare correttamente il cane nel ring,
• far valutare il vostro soggetto da giudici competenti e qualificati.

Sono previsti premi speciali, pensati per valorizzare il binomio e il lavoro presentato.

Domenica pomeriggio presenteremo inoltre una dimostrazione dedicata alla sicurezza urbana, con focus sulla gestione dei contesti cittadini, sulla prevenzione e sulla lettura dei comportamenti nelle situazioni sensibili.

Per chi desidera partecipare, sono possibili anche le preiscrizioni direttamente sul campo, in totale comodità.

Vi aspettiamo per due giornate ricche di competenza, passione e crescita cinofila.




Rete College Italia

Il primitivismo, inteso nel suo senso autentico, non è un ritorno ingenuo al passato né una fuga dalla vita moderna.È un...
24/11/2025

Il primitivismo, inteso nel suo senso autentico, non è un ritorno ingenuo al passato né una fuga dalla vita moderna.
È una visione che riporta l’essere umano più vicino ai ritmi naturali, alla terra, agli animali, ai cicli biologici che hanno modellato l’uomo molto prima che esistesse la società come la conosciamo.

Non significa vivere come nelle caverne, né respingere il progresso, ma scegliere una vita più essenziale, più lenta, più coerente con le leggi naturali.
È la convinzione che la natura non offra soltanto un luogo, ma un ordine, fatto di equilibri che nessuna legge umana potrà mai replicare.
È una forma di libertà che non dipende dal consenso, né dalla convenzione: dipende dalla verità delle cose.

Quando ho letto della famiglia abruzzese che viveva nel bosco, non ho provato stupore né giudizio.
Ho provato riconoscimento.

Perché quel bisogno lo conosco.
Lo porto dentro.
Fa parte di me da sempre.

Io ho una necessità autentica — non simbolica — di vivere vicino alla natura.
Ho bisogno di conoscere le erbe, le piante, il comportamento degli alberi, il linguaggio dei boschi e delle foreste.
Ho bisogno di avvicinarmi al terreno, di seguire i cicli delle stagioni, di capire come cambia la luce nel sottobosco, di osservare gli animali e la logica con cui abitano lo spazio.

Per me la natura non è un ambiente:
è una forma di conoscenza.

È il modo più diretto che ho per capire chi sono e dove sto andando.
Ogni erba racconta una storia, ogni pianta rivela un equilibrio, ogni bosco custodisce una memoria.
Riconoscerli non è un passatempo: è la mia maniera di rimanere allineato alle leggi più antiche e più vere che conosca.

E sono proprio queste leggi — lente, imparziali, inesorabili — le uniche a cui mi sento davvero soggetto.
Non sono state scritte dall’uomo, non seguono mode, non si piegano al giudizio: sono leggi divine, nel senso più profondo del termine.

Per questo comprendo la scelta di chi decide di vivere più vicino alla terra.
Non posso sapere tutto della loro vita, né giudicare ciò che non ho visto.
Ma capisco il principio:
cercare una forma di autenticità che la società moderna non concede più.
Cercare un ritmo che non distrugga il tempo.
Cercare una vita meno vittima dell’artificio e più legata al funzionamento reale della natura.

Il problema non è chi vive in un bosco.
Il problema è un Paese che interpreta la libertà come somiglianza alla maggioranza.
In Italia non ci si chiede:
“Quella famiglia sta bene? È presente? È unita?”
Ci si chiede:
“Vive come viviamo noi?”

La differenza diventa sospetta.
La semplicità diventa mancanza.
La natura diventa deviazione.
Il primitivismo diventa allarme.

È qui che nasce il conflitto:
tra chi vive secondo i cicli della natura
e chi vive secondo le convenzioni della società.

Tra la libertà reale e la libertà accettata.
Tra ciò che è biologico e ciò che è previsto.

Io non so se quella famiglia abruzzese avesse bisogno di aiuto.
So però che un modo di vivere non può essere giudicato soltanto perché non rientra nello schema dominante.
La natura non è un errore.
È un richiamo.
E chi la segue non sempre fugge:
molto spesso ritorna.

È per questo che comprendo quella tensione, quella scelta, quel legame con la terra.
Perché appartiene alla stessa radice da cui provengo anch’io:
la certezza che la natura, nelle sue leggi silenziose, custodisca la forma più alta di verità che esista.

E che tornare a quelle leggi non significa allontanarsi dal mondo,
ma rientrarci con più coscienza.

“I CANILI SONO SEMPRE PIÙ PIENI, ADOTTATE UN CANE, MEGLIO SE METICCIO!”Ogni volta che i canili collassano, ogni volta ch...
23/11/2025

“I CANILI SONO SEMPRE PIÙ PIENI, ADOTTATE UN CANE, MEGLIO SE METICCIO!”

Ogni volta che i canili collassano, ogni volta che si apre l’ennesima discussione sull’emergenza abbandoni, compare immancabile l’invito rassicurante: “Adottate un cane, meglio se meticcio”.
Una frase che sembra innocua, perfino virtuosa, ma che in realtà fotografa alla perfezione il modo in cui questo Paese affronta i problemi: non intervenendo sui processi, ma redistribuendo le conseguenze.

Perché la verità, se la vogliamo dire senza tremare, è che non è l’adozione a determinare la salute di un territorio, ma la capacità di prevenirne il degrado.
E in Italia la prevenzione è assente: strutturalmente, culturalmente, politicamente.
Ce lo dicono i numeri, non le opinioni: negli ultimi cinque anni molte regioni – soprattutto quelle con maggiore incidenza di randagismo – hanno registrato un incremento costante degli ingressi in canile, a fronte di un tasso di adozione che rimane sostanzialmente invariato.
Questo significa che non è la parte finale della filiera a generare la crisi, ma la parte iniziale: le cucciolate indesiderate, le colonie non controllate, l’assenza di sterilizzazione sistemica, l’assenza di valutazioni pre-affido, l’incapacità di leggere i segnali precoci di disagio sociale e familiare.

Pretendere che la soluzione sia “adottare un meticcio” equivale, sul piano logico, a dire che per eliminare la cocaina dal mercato internazionale basterebbe “pipparla” tutta.
Una distorsione travestita da virtù.

Perché se i canili sono saturi non è perché “non adottiamo abbastanza”:
è perché immettiamo nel sistema molti più cani di quanti siamo in grado di gestire con competenza.
È perché si continua a ignorare un dato fondamentale:
un cane che entra in canile non è un numero, ma un esito.
L’esito di un fallimento sociale, territoriale, educativo, istituzionale.

Eppure continuiamo a parlare dell’adozione come se fosse una specie di panacea.
Quando invece – nella realtà – l’adozione è un atto tecnico, non sentimentale: richiede valutazione, conoscenza delle dinamiche sociali del cane, compatibilità con la famiglia, gestione consapevole dei primi tre mesi, prevenzione dei comportamenti regressivi, esclusione delle aree ad alta imprevedibilità, e una lettura cinognostica minima dei segnali.
Non è “prendilo e portalo a casa”: è un processo.

Ed è proprio qui che il discorso sugli slogan si sgretola:
perché la maggior parte dei cani rientra in canile entro i primi sei mesi, e non perché la famiglia “non ha avuto pazienza”, ma perché nessuno l’ha preparata a ciò che avrebbe trovato.
Perché nessuno le ha spiegato che un cane cresciuto in sovraffollamento può non avere le basi sociali per gestire lo stare al mondo.
Perché nessuno ha messo in mano ai cittadini un modello operativo, una guida reale, non uno storytelling.

E allora sì: i canili si riempiono.
Si riempiono perché i territori non vengono gestiti, perché la prevenzione non è considerata una priorità, perché i Comuni tagliano sui fondi, perché la formazione cinotecnica è lasciata al mercato invece che strutturata su criteri tecnici minimali, perché la cultura del cane è rimasta ancorata agli anni ’90 mentre le problematiche sono esplose.

In questo contesto, dire “adotta un meticcio” diventa un modo elegante per spostare il peso del problema sulle spalle delle famiglie.
E non c’è nulla di etico nello spostare un peso senza fornire la struttura che serve a reggerlo.

Io non contesto l’adozione: la difendo da sempre.
Contesto la narrazione.
Contesto l’illusione che basti un gesto emotivo per riparare un sistema che si inceppa molto prima.

I canili si svuotano quando si riduce il flusso in entrata, non quando si accelera quello in uscita.
Si svuotano con il controllo del territorio, con la sterilizzazione sistemica, con la lettura comportamentale pre-affido, con una rete di professionisti reali, con modelli educativi corretti, con strumenti operativi che oggi semplicemente non esistono.

Per questo la frase “adottate, meglio se meticcio” non è il problema:
è il sintomo di un modo superficiale di guardare alla complessità.
Ed è un sintomo che dobbiamo smettere di scambiare per soluzione.

P.s Alberto Angela in foto ha un bassotto a pelo ruvido e lo slogan sottolinea che è meglio adottare meticci. Che confusione!

P. S 2. Chiedo a chi scriverà cazzate nei commenti di farsi spiegare da qualcuno il significato e il significante del testo. Grazie.

Leonardo Luca Caputo

Negli ultimi anni ho visto una crescita costante di cani instabili, ansiosi, reattivi, disorganizzati. Non è un’impressi...
20/11/2025

Negli ultimi anni ho visto una crescita costante di cani instabili, ansiosi, reattivi, disorganizzati. Non è un’impressione: è una tendenza chiara, ripetuta, trasversale alle razze e alle famiglie. È evidente che il cane moderno non ha più la stabilità che aveva vent’anni fa. È più sensibile, più fragile, più esposto, e viene immerso in un mondo che non è fatto per lui, gestito da persone che spesso non sanno cosa stanno guardando.

La radice è chiara: la selezione caratteriale è stata abbandonata. Si sono scelti i colori, le teste grandi, le linee morbide, le mode, la “bontà”, tutto ciò che piaceva ai social. Ma il comportamento non lo ha selezionato più nessuno. La genetica non ti perdona: quello che smetti di selezionare, lo perdi. Oggi nascono cani esteticamente bellissimi e interiormente fragilissimi. Cuccioli che vanno in crisi per un nonnulla, linee che non recuperano, temperamenti inconsistenti. E se un cucciolo nasce così, ha bisogno di essere gestito con una precisione chirurgica. Ma quasi nessuno lo fa.

A questo si aggiunge un altro problema enorme: la formazione debole travestita da etica. Negli ultimi anni si è creato un linguaggio cinofilo molto dolce, molto corretto, molto “relazionale”, che però spesso nasconde una mancanza di strumenti tecnici impressionante. Quando un professionista non sa leggere un pattern predatorio, una finestra di tolleranza che si chiude, un’escalation che parte da segnali sottili, un comportamento di scarico, una struttura di ansia anticipatoria… sposta tutto sul piano emotivo. Parla di empatia, di amore, di rispetto, di relazione. Ma non dice niente di concreto su cosa sta succedendo nel cane. L’etica non può sostituire la competenza. E quando succede, è l’animale a pagarne il prezzo.

Poi ci sono i proprietari. Ed è inutile girarci intorno: molti non sono preparati a vivere con un cane. Lo amano come un bambino, lo trattano come un regolatore affettivo, gli chiedono di essere un bisogno emotivo, non un animale. E un cane molto amato ma mai guidato non diventa equilibrato: diventa ansioso. La gestione è incoerente, i limiti non esistono, il conflitto viene evitato, la frustrazione non viene mai insegnata, la routine cambia ogni giorno, e il cane resta senza un punto fermo. Questo crea instabilità, non libertà. Se poi il cane è già geneticamente sensibile, basta poco per farlo crollare.

In tutto questo, il mondo moderno fa il resto. Rumore, velocità, stimoli continui, mancanza di ritualità, incontri casuali, invasività emotiva, zero tempi morti, zero gradualità. Il cane, per sua natura, ha bisogno di lentezza, ripetizione, struttura predatoria controllata, socialità calibrata. Non è progettato per vivere in uno spazio mentale che cambia ogni cinque minuti. E quando vive così, si disorganizza.

Quindi no, non è vero che oggi ci sono più cani problematici per “colpa della vita difficile”, o perché “sono tutti traumatizzati”, o perché “la società non li capisce”. È molto più semplice di così: abbiamo costruito cani geneticamente più fragili, li affidiamo a proprietari impreparati, li facciamo seguire da professionisti che usano la morale come scudo della loro incompetenza, e li buttiamo in un ambiente incompatibile con la loro biologia.

Un cane non diventa problematico da solo. Non decide di esserlo. Un cane diventa problematico quando gli togli ciò che gli serve e gli dai ciò che serve a te. E questo è il punto che in pochi vogliono affrontare: il cane moderno non è fragile, è fragile il modo in cui lo immaginiamo. Continueremo a vedere cani instabili finché non torneremo a guardarlo per ciò che è: un animale complesso, con bisogni chiari, ritmi precisi e una struttura interiore che va rispettata. Non un simbolo, non un oggetto emotivo, non un contenuto da pubblicare. Solo un cane. E un cane, se lo rispetti davvero, richiede una cosa più di tutte: verità.




Ho 44 anni e vivo immerso nella cinofilia da 25.Ho seguito centinaia di cucciolate di diverse razze, scegliendo consapev...
17/11/2025

Ho 44 anni e vivo immerso nella cinofilia da 25.
Ho seguito centinaia di cucciolate di diverse razze, scegliendo consapevolmente di confrontarmi con molti maestri del settore e di far crescere la mia competenza attraverso un percorso continuo, pratico e teorico, totalmente immersivo. La conseguenza naturale è stata vivere di questa materia e dentro questa materia, con un livello di coinvolgimento che non si improvvisa.

Mi lascia sempre un po’ perplesso vedere quante persone oggi si propongano come educatori o addestratori avvicinandosi alla cinofilia in modo tiepido, superficiale, spesso sostenuti da visioni assolutistiche che non colgono la complessità reale di questa disciplina.
La cinofilia richiede una lettura totale: biologica, comportamentale, relazionale, emotiva.
Non basta un corso. Non basta una definizione. Non bastano due concetti esposti bene.

L’ultima arrivata nella nostra grande famiglia è questa Corgi Cardigan, frutto del lavoro – a mio avviso – di una delle migliori allevatrici Il Larice Bianco Kennel, se non la migliore, nel panorama delle razze da pastore inglesi a zampa corta. Una professionista che conosce profondamente la sua razza e seleziona con criteri seri e coerenti.
Quando mi approccio a una razza, cerco sempre il cane migliore e l’allevatore migliore con cui interfacciarmi: è una questione di responsabilità e di metodo.

Dall’altra parte, il mio impegno nel volontariato mi mette a contatto con realtà molto diverse: cani con un passato difficile, soggetti dimenticati, storie che necessitano di ricostruzione emotiva e tecnica.
E cerco di portare la stessa passione, lo stesso senso critico e la stessa capacità di analisi in entrambe le dimensioni, senza perdere mai il punto della situazione, né la centralità del cane come individuo.

Questa è la mia vita.
Questo è il modello che propongo ai miei collaboratori.
Questo è ciò che trasmetto nei miei corsi e ciò che offro alle persone che entrano nella mia scuola come utenti: un approccio autentico, tecnico, coerente, radicato nell’esperienza reale.

Non devo fare altro che essere me stesso.


Silvia Fomasi

16/11/2025

Il 14 dicembre dedichiamo una giornata intera ai meticci, spesso esclusi dai circuiti tradizionali ma ricchissimi di variabilità genetica, solidità caratteriale e qualità che meritano di essere osservate e valorizzate.

L’evento nasce con un obiettivo chiaro:
offrire ai proprietari uno spazio tecnico ma accessibile, dove capire come funziona un’esposizione di bellezza, imparare a presentare il proprio cane e acquisire competenze utili anche nella vita quotidiana.

La valutazione sarà semplice, trasparente e centrata su:
– equilibrio generale
– gestione emotiva
– armonia del movimento
– rapporto con il conduttore
– struttura e salute

È un’occasione perfetta per chi vuole avvicinarsi al ring senza pressioni, per chi desidera capire meglio il proprio cane, e per chi vuole vivere una mattinata formativa e piacevole.

Se conosci qualcuno che potrebbe partecipare, taggalo nei commenti.
E se verrai, scrivimi che cane porterai: così iniziamo a conoscerci.

Sono quasi ventiquattro anni che mi occupo di addestramento e di educazione di cani. Qui i binomi vengono se ci sono dei problemi o per abilitarsi in diverse attività. Qui da me puoi studiare per diventare Educatore, istruttore o analista rieducatore

Il 13 dicembre vogliamo creare una giornata diversa dal solito: niente tensioni, niente gare vissute con ansia, niente a...
16/11/2025

Il 13 dicembre vogliamo creare una giornata diversa dal solito: niente tensioni, niente gare vissute con ansia, niente atmosfera pesante. Solo cani, persone vere e la voglia di stare insieme.

Durante la mattinata potrai iscriverti, conoscere gli altri partecipanti e vedere da vicino cani di razze diverse, osservando da subito come si prepara un binomio prima di entrare in ring.

Dalle 11.00 iniziano i giudizi. Sarà l’occasione per capire come si muove un cane in esposizione, cosa osserva un giudice, come si presenta correttamente un soggetto e quali piccoli accorgimenti fanno davvero la differenza. È una giornata perfetta sia per chi è alle prime armi, sia per chi vuole migliorare la propria conduzione.

Nel pomeriggio, il Best in Show: un momento sempre emozionante, dove si raccoglie tutto il lavoro fatto con i propri cani e si respira cinofilia di qualità.

Noi ci saremo, con la voglia di divertirci, imparare e condividere esperienza.
Un appuntamento per crescere insieme, con rispetto e passione.

Scrivimi nei commenti la razza del tuo cane e tagga qualcuno che potrebbe unirsi a noi: costruiamo la giornata insieme.

CANI PROBLEMATICI E RESPONSABILITÀLa responsabilità nel rapporto uomo–cane non è un sentimento, ma una funzione sistemic...
12/11/2025

CANI PROBLEMATICI E RESPONSABILITÀ

La responsabilità nel rapporto uomo–cane non è un sentimento, ma una funzione sistemica. È l’insieme dei comportamenti umani che mantengono la stabilità di un legame interspecifico fondato su prevedibilità, chiarezza e coerenza.
In etologia applicata (Coppinger & Coppinger, 2001), il cane è descritto come un animale adattato alla cooperazione con l’uomo: la sua sicurezza psicologica dipende dalla capacità del proprietario di fornire segnali coerenti e regole costanti. Quando questa coerenza si interrompe, il cane non “disobbedisce”: tenta di ristabilire un equilibrio interno attraverso strategie sostitutive, spesso etichettate come “problemi comportamentali”.

Nel modello di apprendimento sociale di Bandura (1977) e nel concetto di omeostasi relazionale (Beerda et al., 1998), il comportamento dell’animale è una risposta alla qualità della relazione. Un proprietario instabile, imprevedibile o incoerente genera nel cane uno stato di allerta cronica, con incremento dei livelli di cortisolo e riduzione della soglia di tolleranza agli stimoli. Non è un problema di carattere, ma di contesto.

Essere responsabili significa garantire al cane un ambiente regolato: orari, routine, comunicazioni congruenti, esercizio fisico adeguato e stabilità emotiva del conduttore. Questi fattori determinano la formazione di quello che Coppinger definisce modello di comportamento domestico stabile, condizione in cui l’animale riesce a leggere le previsioni sociali e adattare le proprie risposte in modo equilibrato.

Il fallimento gestionale inizia quando il proprietario, di fronte a una criticità, cerca un’alternativa anziché una soluzione. È la forma moderna della deresponsabilizzazione affettiva. “Lo do via”, “lo chiudo in giardino”, “lo porto da un educatore”: azioni apparentemente logiche che, in termini tecnici, interrompono la catena di apprendimento e spezzano il sistema di riferimento primario.
Studi sulla deprivazione sociale (Hetts et al., 1992; Serpell, 2016) mostrano che la separazione improvvisa o la gestione incoerente producono comportamenti regressivi, ansia da separazione e generalizzazione della paura.

Ogni cane allontanato per difficoltà gestionali subisce un danno etologico oggettivo. La perdita della figura di riferimento compromette la sua capacità di autoregolazione e inibisce i circuiti dopaminergici associati alla ricompensa sociale (Odendaal & Meintjes, 2003). È una frattura chimica, non solo emotiva.
Il cane non impara che ha sbagliato: impara che l’uomo non resta. E un animale che non può più contare sulla stabilità del partner sociale si adatta attraverso la diffidenza, l’ipercontrollo o l’apatia.

Il professionista serio non “aggiusta” il cane: rieduca il sistema. La responsabilità tecnica del proprietario è partecipare al processo di modifica, comprendere i meccanismi di rinforzo, riconoscere gli errori di comunicazione e ricostruire la coerenza del contesto. La vera rieducazione riguarda l’uomo, non il cane.

La cultura dell’alternativa – quella che cerca rifugi, adozioni compensative o soluzioni esterne – è la manifestazione di un analfabetismo relazionale: si considera il cane un dispositivo funzionale all’equilibrio umano, non un soggetto cognitivo con memoria esperienziale. Ogni cedimento del proprietario diventa una traccia mnemonica che modifica la percezione sociale dell’animale.

Dal punto di vista scientifico, la responsabilità coincide con la continuità dell’apprendimento reciproco. Il cane osserva, interpreta e si adatta in base alla costanza del partner umano. La rottura di questa costanza produce entropia relazionale.
In altre parole: quando l’uomo smette di essere prevedibile, il cane smette di essere sereno.

La responsabilità non è evitare gli errori, ma non smettere di correggerli.
Un cane con un problema non è un fallimento: è un indicatore biologico della disfunzione del sistema umano.
Chi resta, cresce. Chi fugge, replica il danno.
La fedeltà, in termini etologici, è una forma di regolazione reciproca. E quando un uomo resta — anche confuso, anche imperfetto — il cane lo percepisce come stabile.
Perché nella biologia della fiducia, la coerenza è più terapeutica della perfezione.
















Qualcuno guarda queste foto e pensa che io stia facendo scena.Che sia diventato uno di quelli che si fanno selfie in pal...
06/11/2025

Qualcuno guarda queste foto e pensa che io stia facendo scena.
Che sia diventato uno di quelli che si fanno selfie in palestra per vanità.
Che mi sia messo a “fare il maranza”.

Ma io non sto posando.
Io sto testimoniando.

Testimonio per tutte le persone che mi scrivono ogni settimana.
Per chi ha una malattia e si sente sopraffatto.
Per chi ha perso le forze.
Per chi guarda il proprio corpo spegnersi e non trova più il motivo per reagire.

Queste immagini non servono a mostrare muscoli.
Servono a dire: se ce l’ho fatta io, puoi farcela anche tu.

Per molto tempo non ho potuto allenarmi.
Il mio corpo cedeva. Il dolore vinceva. La lucidità svaniva.
Ho rischiato di perdere non solo la salute, ma anche la mia identità.

Ho ricominciato come potevo. Con poco, storto, dolorante, in cattive condizioni. Ma ho cominciato.
Non quando stavo bene. Non quando era tutto risolto.
Ho cominciato quando sembrava impossibile farlo. E proprio lì è cambiato tutto.

Poi mi sono aggrappato a quello che avevo costruito negli anni:
il mio lavoro con i cani. La mia missione per il benessere animale. La mia Associazione.

Wild Life Rescue non è solo un progetto.
È un modo di stare nel mondo, aiutando cani e persone in difficoltà.
È un’alleanza fatta di disciplina, cuore, presenza, sudore.
È un luogo dove anche chi sta male può rimettersi in piedi, cominciando dal legame con un animale, e ritrovando forza proprio nel gesto quotidiano della cura.

Io ci sono riuscito così.
Un giorno alla volta. Un cane alla volta. Un allenamento alla volta.

Per questo pubblico queste immagini.
Per questo continuo a testimoniare.
Perché se io sono tornato a vivere da dentro la malattia, allora non tutto è perduto per nessuno.

Il corpo si può ricostruire.
La mente si può rinforzare.
La dignità non si perde mai.

Scrivimi se hai bisogno.
Parliamone.
Riparti.






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