20/11/2025
Negli ultimi anni ho visto una crescita costante di cani instabili, ansiosi, reattivi, disorganizzati. Non è un’impressione: è una tendenza chiara, ripetuta, trasversale alle razze e alle famiglie. È evidente che il cane moderno non ha più la stabilità che aveva vent’anni fa. È più sensibile, più fragile, più esposto, e viene immerso in un mondo che non è fatto per lui, gestito da persone che spesso non sanno cosa stanno guardando.
La radice è chiara: la selezione caratteriale è stata abbandonata. Si sono scelti i colori, le teste grandi, le linee morbide, le mode, la “bontà”, tutto ciò che piaceva ai social. Ma il comportamento non lo ha selezionato più nessuno. La genetica non ti perdona: quello che smetti di selezionare, lo perdi. Oggi nascono cani esteticamente bellissimi e interiormente fragilissimi. Cuccioli che vanno in crisi per un nonnulla, linee che non recuperano, temperamenti inconsistenti. E se un cucciolo nasce così, ha bisogno di essere gestito con una precisione chirurgica. Ma quasi nessuno lo fa.
A questo si aggiunge un altro problema enorme: la formazione debole travestita da etica. Negli ultimi anni si è creato un linguaggio cinofilo molto dolce, molto corretto, molto “relazionale”, che però spesso nasconde una mancanza di strumenti tecnici impressionante. Quando un professionista non sa leggere un pattern predatorio, una finestra di tolleranza che si chiude, un’escalation che parte da segnali sottili, un comportamento di scarico, una struttura di ansia anticipatoria… sposta tutto sul piano emotivo. Parla di empatia, di amore, di rispetto, di relazione. Ma non dice niente di concreto su cosa sta succedendo nel cane. L’etica non può sostituire la competenza. E quando succede, è l’animale a pagarne il prezzo.
Poi ci sono i proprietari. Ed è inutile girarci intorno: molti non sono preparati a vivere con un cane. Lo amano come un bambino, lo trattano come un regolatore affettivo, gli chiedono di essere un bisogno emotivo, non un animale. E un cane molto amato ma mai guidato non diventa equilibrato: diventa ansioso. La gestione è incoerente, i limiti non esistono, il conflitto viene evitato, la frustrazione non viene mai insegnata, la routine cambia ogni giorno, e il cane resta senza un punto fermo. Questo crea instabilità, non libertà. Se poi il cane è già geneticamente sensibile, basta poco per farlo crollare.
In tutto questo, il mondo moderno fa il resto. Rumore, velocità, stimoli continui, mancanza di ritualità, incontri casuali, invasività emotiva, zero tempi morti, zero gradualità. Il cane, per sua natura, ha bisogno di lentezza, ripetizione, struttura predatoria controllata, socialità calibrata. Non è progettato per vivere in uno spazio mentale che cambia ogni cinque minuti. E quando vive così, si disorganizza.
Quindi no, non è vero che oggi ci sono più cani problematici per “colpa della vita difficile”, o perché “sono tutti traumatizzati”, o perché “la società non li capisce”. È molto più semplice di così: abbiamo costruito cani geneticamente più fragili, li affidiamo a proprietari impreparati, li facciamo seguire da professionisti che usano la morale come scudo della loro incompetenza, e li buttiamo in un ambiente incompatibile con la loro biologia.
Un cane non diventa problematico da solo. Non decide di esserlo. Un cane diventa problematico quando gli togli ciò che gli serve e gli dai ciò che serve a te. E questo è il punto che in pochi vogliono affrontare: il cane moderno non è fragile, è fragile il modo in cui lo immaginiamo. Continueremo a vedere cani instabili finché non torneremo a guardarlo per ciò che è: un animale complesso, con bisogni chiari, ritmi precisi e una struttura interiore che va rispettata. Non un simbolo, non un oggetto emotivo, non un contenuto da pubblicare. Solo un cane. E un cane, se lo rispetti davvero, richiede una cosa più di tutte: verità.