25/11/2025
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Nessuno te lo dice, quando inizi a salvare animali da casa tua.
Nessuno ti avverte che ti costerà la vita sociale, l’amore, le amicizie, perfino l’idea di normalità.
E invece succede. Sempre.
In questo momento vivo con otto cani da soccorso e tre gatti.
A volte sono sei, a volte nove.
Sono quasi tutti cani grandi, razze che la gente trova “poetiche” solo su Instagram, ma che poi abbandona quando scopre cosa significa davvero viverci insieme.
Io li trovo.
Li porto dentro.
Li riparo.
E nel frattempo divento una persona che altri non sanno più come gestire.
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IL COSTO INVISIBILE
Questa è la verità che nessuno vuole sentire:
Non posso uscire a cena senza organizzare medicinali, ansia da separazione, ciotole separate, cani che non possono essere lasciati soli troppo a lungo.
Non posso fare un viaggio perché dovrei chiedere a qualcuno di gestire otto cani traumatizzati, un cane con precedenti di morso, un altro con fobie profonde, un terzo che ha bisogno di cure mediche due volte al giorno.
Non posso invitare nessuno a casa: appena apri la porta, esplode il caos.
Abbaiano. Saltano. Spandono peli, odori, fango.
Se qualcuno ha paura o è allergico… fine. Casa mia diventa off-limits.
Non posso frequentare qualcuno “così per provare”:
Certo, continuo da dove si era interrotto — mantenendo lo stesso tono emotivo e narrativo, ottimizzato e coerente.
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Non posso frequentare qualcuno “così per provare”: chi entra nella mia vita deve accettare che la mia priorità saranno sempre loro.
Non perché non desideri un legame umano, ma perché io li ho promessi qualcosa.
Ho promesso sicurezza a chi non l’ha mai avuta.
Ho promesso amore a chi ha conosciuto solo violenza.
Ho promesso di non arrendermi, anche quando il mondo intero lo ha già fatto.
E così non mi arrendo. Anche quando mi costa tutto il resto.
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IL LAVORO CHE NON SI VEDE
La gente vede le foto carine.
Le adozioni riuscite.
Il “prima e dopo” che fa piangere tutti.
Ma non vede il resto.
Non vedono:
le corse al pronto soccorso veterinario alle 3 del mattino
la diarrea pulita quattro volte in un giorno
i cani che abbaiano tutta la notte
la schiena distrutta per sollevare animali che non riescono a fare le scale
i combattimenti da dividere
i mobili distrutti dall’ansia
i 1.500€ spesi per un intervento che il proprietario precedente non voleva pagare
Non vedono il mio conto che sanguina ogni mese.
Non vedono la stanchezza cronica.
Non vedono le lacrime in macchina quando un adottante cambia idea con la frase più odiosa del mondo:
“Non ci eravamo resi conto che fosse così impegnativo.”
La verità?
Non vedono niente.
Vedono quello che vogliono vedere.
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LA MORTE DELLA VITA SOCIALE
Avevo amici.
Avevo inviti, serate, spontaneità.
Ora la gente non mi chiede neanche più se voglio uscire.
Sanno già la risposta.
Ho cani da medicare, da nutrire uno per volta, da tranquillizzare quando scoppia un petardo (in Italia succede da ottobre a gennaio).
Ho un gatto diabetico che ha bisogno di insulina due volte al giorno, sempre alla stessa ora.
Ho un cane che non può essere lasciato solo mai, nemmeno dieci minuti.
La gente dice:
“Prendi un dog sitter!”
Come se fosse facile trovare qualcuno disposto a gestire otto cani traumatizzati, alcuni con morsi, altri con fobie, altri incompatibili con animali o bambini.
E come se avessi 50€ al giorno da spendere per questo.
Anche quando esco, sono quella che controlla il telefono ogni tre minuti.
Quella che va via in anticipo.
Quella che non riesce mai a rilassarsi davvero.
Sono diventata noiosa.
Ero interessante.
Ero viva.
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IL GIUDIZIO DEGLI ALTRI
Arriva sempre, puntuale.
“Dovresti portarli in un rifugio.”
(I rifugi uccidono per mancanza di spazio. Punto.)
“Stai accumulando animali.”
(No. Sono tutti curati, vaccinati, sterilizzati, addestrati. Io soffro, loro no.)
“Devi mettere confini.”
(I miei confini sono con gli umani, non con gli animali.)
“Ti importa più dei cani che delle persone.”
(Forse sì. I cani non mi hanno mai mentito, manipolato, abbandonato o tradito.)
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LA PARTE CHE NESSUNO AMMETTE
C’è un rancore sottile.
Non verso i cani. Mai.
Verso la situazione.
Per la mia casa che puzza di cane anche dopo averla pulita.
Per i miei 43 anni da single.
Per la mia vita sociale che non esiste più.
Per i soldi che evaporano.
Per il fatto che la gente mi chiama “eroe”, quando non lo sono affatto.
E poi c’è la colpa.
Perché loro non hanno scelto nulla.
Sono innocenti.
Meritano amore e stabilità, non le mie frustrazioni.
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LA MATEMATICA IMPOSSIBILE
Lo so.
Se tenessi solo uno o due cani, potrei riavere una vita.
Potrei:
uscire con qualcuno
andare in vacanza
dormire tutta la notte
avere pavimenti puliti
smettere di vivere in emergenza
Ma non posso farlo.
Perché so cosa accade ai cani come loro.
So quante seconde possibilità NON ricevono.
So quanti finiscono in una gabbia per sempre.
So quanti vengono soppressi “perché difficili”.
E allora rimango.
Rimango in questa trappola che ho costruito con amore.
E cerco di non pensare troppo al prezzo.
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COS’È, DAVVERO
Non è eroismo.
Non è nobiltà.
Non è altruismo.
È ciò che succede quando non riesci a voltarti dall’altra parte.
Quando il dolore degli animali diventa più forte del tuo bisogno di vivere una vita normale.
Diventi un cuscinetto tra loro e un sistema che li ha falliti.
Ed è terribilmente, profondamente solitario.
La gente che potrebbe capirti… sta annegando nello stesso mare.
La gente che non lo fa… non potrà mai capire.
E sì:
Ci sono momenti belli, piccole luci, trasformazioni che ti fanno respirare.
Ma la maggior parte del tempo… è dura.
È alienante.
È stancante in un modo che non puoi spiegare.
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EPILOGO
Non ho soluzioni.
Non ho consigli.
Ho solo otto cani che dormono vicino a me mentre scrivo.
E la certezza che domani farò tutto da capo.
Perché loro hanno bisogno di me.
E io non posso — non voglio — lasciarli soli.
A chi fa questo lavoro, a chi salva, a chi cura, a chi si sacrifica:
ti vedo.
So quanto pesa.
Non sei solo.