04/08/2025
Si chiamava Zenzero, o almeno, così lo aveva soprannominato una bambina che passava ogni mattina per andare a scuola. Per tutti gli altri era solo un altro gatto randagio, un piccolo ciuffo di pelo arancione e bianco che si confondeva con le foglie secche e le pozzanghere della città.
Zenzero era solo. Le sue grandi zampe, sproporzionate rispetto al suo corpo esile, erano fredde. Le gocce di pioggia avevano bagnato il suo pelo, e il piccolo gattino si era raggomitolato vicino a una lattina ammaccata, l'unico riparo che aveva trovato. I suoi occhi, due laghi di un verde profondo, erano tristi. Riflettevano il grigio del cielo e la luce lontana di un lampione, come se cercassero una speranza che non riuscivano a trovare.
Non aveva fame, non aveva sete. Aveva solo freddo. Un freddo che gli entrava nelle ossa, un freddo che andava oltre la temperatura esterna. Era la solitudine che gli gelava il cuore. Pensava alla sua mamma, ai suoi fratelli. Li aveva persi tutti. In un mondo di giganti frettolosi, lui era solo un piccolo punto arancione, una vita fragile, destinata a svanire nel rumore della città.
Una singola lacrima gli scivolò lungo la guancia, bagnando il suo musetto. Era una lacrima per il mondo intero, un mondo che non si accorgeva di lui. Ma quella lacrima non era solo di tristezza. Era anche una preghiera silenziosa. La speranza di un tocco gentile, di una carezza, di una mano che lo tirasse fuori dal freddo. La speranza di un casa, di un po' di calore, di un po' di amore. La speranza di non essere più un randagio, ma semplicemente Zenzero.
Il mondo, però, non lo sentiva. Non ancora.